Questa volta più che di personaggi e leggende parliamo delle abitudini e dei pochi e bizzarri modi di divertimento del passato.
Mia nonna, classe 1896, almeno nei ricordi una donna anziana, austera, alta, eternamente vestita in nero , vera figura matriarcale, talvolta, spesso in verità, soleva intrattenere noi nipoti raccontando quelle che erano le differenze tra i suoi tempi e gli allora nostri tempi. Lei lo faceva accanto al caminetto nelle sere d’inverno o sotto un albero nelle afose giornate estive ; Io, magari più comodamente, davanti ad una tastiera ed uno schermo sto a “parlare “ a nipoti virtuali che neanche conosco : lo spirito è lo stesso .
E’ il desiderio di “trasmettere”, di “lasciare qualcosa” : ho conosciuto, per lavoro e per vicende umane tante persone, molti anziani, e la cosa che mi ha sempre colpito era vedere queste persone avanti negli anni che piantavano nuovi alberi dei cui frutti per ovvie ragioni mai avrebbero goduto . E’ una comprensibile richiesta inconscia di immortalità, almeno nel ristretto ambito familiare.
L a cosa che incuriosiva la progenitrice era la maggiore vivacità e spigliatezza delle allora nuove generazioni e con un poco di invidia ci diceva : “ Mò li criatur nascen cu l’uocchie apiert” . Non capivamo e ne chiedevamo il senso : la nonna affermava ( ed è vero!) che prima i bambini nascevano con gli occhi chiusi, come ancora succede ai gatti, e che li aprivano solo dopo qualche giorno
Chi ha gli occhi aperti è “sveglio” ( purtroppo non è sempre così).
Sulla falsariga di questi paragoni ci raccontava dei suoi giochi e delle sue convinzioni di bambina . Memorabile era il desiderio di far asciugare l’unico vestitino che aveva da indossare il giorno dopo, domenica, alla .. luce di una candela . Un altro diffuso “divertimento”, un po’ lugubre in vero, era il recarsi a far visita ai defunti, ufficialmente per rendere onore al morto, ufficiosamente per assistere al modo dei familiari di piangerlo ( le persone nel dolore e nel… vino non stanno tanto a misurare le parole). A questo proposito ci cantava una sorta di filastrocca il cui senso era : “digiuna io e digiuna Viola per vedere Rosa come piange a Cola” – La Viola in questione era la pecora di famiglia che non era stata portata a pascolare per ascoltare come la signora Rosa piangeva il trapassato marito NiCola.
Altra fonte bizzarra ( per noi) di divertimento era il recarsi nell’allora pretura, o equivalente dell’epoca, ad ascoltare le “cause” ; in fondo era il teatro della povera gente , un po’ come le esecuzioni in piazza dei secoli scorsi. La più gustosa raccontata riguardava una madre ed un figlio di un paese della Valle del Sele , Quaglietta, nome che ricordava i nostri peperoni piccanti, comparsi davanti al giudice per non so cosa e che dal tono delle risposte avevano instillato nel togato il sospetto che entrambi fossero minorati mentali, forse per qualche malattia genetica. Il giudice, per accertarsene chiese al giovane chi fosse nato prima tra lui e sua madre. Il figliolo non sapendo rispondere lo chiese alla madre, la quale sentenziò : “ Che ne saccio, ne Quaglietto’, sarraggio nata prim’ Io !”. Inutile dire che tra l’ilarità generale i due furono assolti per manifesta incapacità mentale.
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